Il desiderio omosessuale e il suo martirio sociale. Emma Dante al Teatro Vittoria, per Romaeuropa festival
Corpi. Corpi vivi, che trasudano il sentire dell’anima tanto quanto la cultura di cui sono imbevuti. Sbattuti in faccia agli astanti, mentre accompagnano una storia semplice, anzi la storia più banale che si possa immaginare in fatto di omosessualità, si impongono allo sguardo scavallando il giudizio per essere guardati così come sono. Nudi, veri, pelli tese, muscoli, pance sfatte, seni morbidi, cazzi, fica, schiene, culi. Generi che si scambiano e che non appartengono ma sono appartenuti.
Per questo Pietro, mentre ci racconta la sua storia di scoperta dell’omosessualità, il conflitto con i genitori, l’incontro fatale, l’amore della vita e la scoperta della doppia vita di lui, sposato e con figli, che lo sfancula non appena prova ad andarselo a prendere a casa, si mostra nel doppio genere attraverso il suo corpo e i costumi che indossa, tipici del burlesque, spogliando via via quattro bambole gonfiabili anch’esse bisex, mentre il suo alter-ego, nelle vesti di una ballerina, si spoglia di quelli continuando il suo girotondo fantastico fino ad essere finalmente nuda insieme al suo Lui. E altrettanto farà il genitore, ora padre ora madre, più spesso madre mentre si apre la camicia mostrando il petto villoso, la pancia, i rotoli, alternando le voci ora alta ora bassa in un vero burlesque oltre il genere.
Totale smascheramento della doppiezza, sostenuto dalla nudità della scena, che nella burla denuncia il dramma, nel gioco penetra l’anima, nel sentimento l’inconsistenza del genere. E nel riconoscimento di sé la desolazione, dentro un girotondo esaltante e sanguinante, come la vita stessa. A Napoli, o ancora ovunque, in questo paese feudale.
Roma, 1 Novembre 2015
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