Le lotte sindacali sono l’abc, ma non per costituire di nuovo l’altra gamba del sistema capitalistico. Il ‘900 è alle spalle, ridisegnamo il nostro futuro.
Ed eccoci alla prova dei fatti. Mentre si fa sempre più pressante la richiesta di una gestione trasparente rispetto alla nomina del nuovo direttore del Teatro di Roma (qui la lettera aperta de_ artist_ e qui il comunicato di RISP), che significa prima di tutto il coinvolgimento di chi ci lavora e di chi gravita attorno ai teatri di quel circuito, la ripartenza, falsa dal punto di vista di una revisione complessiva del sistema del lavoro nello spettacolo da vivo, comunque ci assorbe perché ci chiama al lavoro, o a ricostruirlo per chi come me lavora in autonomia.
Il percorso che RISP ha lanciato all’assemblea che si è tenuta davanti al Teatro Argentina venerdi scorso è l’abc: essere riconosciuto come sigla sindacale da TdR in quanto rappresentante di molt_ lavorat_, per potersi sedere al tavolo ed entrare nel merito delle dinamiche che finora hanno bloccato la nomina, accompagnate dal discutibile sciopero di Libersind – non perché sia discutibile lo strumento – perché contro altri lavoratori e lavoratrici, e perché tutto legato al tema “politico” piuttosto che a un’effettiva rivendicazione de_ lavorat_ che a quella sigla sindacale aderiscono.
E’ un tassello importante, che può fare da apripista ad altre situazioni dove RISP è presente o dove può diventarlo, spianando la strada alla conquista di diritti e tutele.
In questo lungo anno di tessitura della Rete abbiamo visto però quanto sia variegato e in quanti modi sia articolato il nostro mondo, perciò abbiamo bisogno di continuare a tenere alto lo sguardo verso quell’orizzonte diverso che abbiamo così ben saputo disegnare. Cominciando dal Reddito minimo, chiave di volta della possibilità di unire questo mondo al di là delle specificità, e non solo, di unirlo all’intero mondo del lavoro precario.
Chiave di volta perché immediatamente spalanca lo sguardo verso quell’orizzonte, immediatamente mostra come sia la chiave per liberare il lavoro dalle maglie dello sfruttamento, che oggi va dallo schiavismo fino alle miriadi di contratti diversi nello stesso luogo di lavoro, al lavoro in appalto, al ricatto.
La crisi epocale esplosa nel 2008 ha mostrato il giro di boa del ‘900: non siamo più nel secolo della grande fabbrica, a cui è corrisposta una lotta sindacale che ha consentito di conquistare diritti pur all’interno del sistema capitalistico. Siamo andati oltre, e la fase che stiamo attraversando ci chiede una visione in grado di portarci fuori, definitivamente, da quella dinamica. I passi da fare saranno sempre uno per volta, ma ridisegnare il “mondo a misura d’Uomo” che tante volte abbiamo evocato deve essere la nostra stella polare.
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