Shlomo, Chaya e l’altra America
Uomini e donne alla ricerca di una vita migliore tra emigrazioni, lotte e rivoluzioni dalla Russia dei pogrom all’America del bread and roses. Una appassionata ricostruzione dell’epoca che ha gettato i fondamenti della vita civile attraverso l’affermazione dei diritti del lavoro, nel nuovo libro di Filippo Manganaro
“Dobbiamo resistere, a volte scavando come talpe, altre volando fieri e potenti come aquile e, magari, dopo un volo saremo costretti a tornare a scavare. Ma stai certa che un giorno, librandoci in volo dall’ennesima galleria, scopriremo finalmente di essere liberi!”. Sono le parole di Shlomo Weizman alla nipote Chaya la miglior sintesi per Un sogno chiamato rivoluzione, romanzo storico di Filippo Manganaro, in uscita per le edizioni Nova Delphi (2012, pp. 272, € 16,00). Del saggio pubblicato nel 2004, Senza patto né legge: antagonismo operaio negli Stati Uniti l’autore, studioso di storia degli Stati Uniti ed in particolare di emigrazione e lotte sociali, fa tesoro per tessere una tela la cui trama disegna le vicende di due famiglie di ebrei russi, i Weizman e i Tounik, e poi quelle degli irlandesi O’Donnel, per intrecciarle saldamente ai fatti che dagli ultimi trent’anni dell’800 fino al 1936 hanno segnato la storia del movimento socialista e operaio.
Lo diciamo subito, qui sta il merito del libro: intrecciare fatti storici con la voce dei veri protagonisti di quel movimento, gli uomini e le donne che seppero insieme liberarsi da condizioni di disperazione costruendo incessanti battaglie per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, fino a conquistare diritti. Operazione nella quale l’autore ha saputo trovare un sapiente equilibrio privo di forzature, tra finzione letteraria e verità storica.
La violenza dell’emigrazione forzata dopo uno dei più drammatici pogrom, quello di Kishinev del 1885, in piena Russia zarista, è lo scenario d’apertura di quella che si dipanerà come una lotta durissima ma incessante, nonostante arretramenti e tragedie. Al centro, le vicende dei Weizman si saldano con quelle degli O’Donnel, ed insieme si intrecceranno a quelle dei tantissimi immigrati che fecero la differenza nelle trasformazioni produttive d’inizio secolo in America.
Accanto alle Sara Lemlich e ai Joe Hill più conosciuti, l’intero Lower East Side scenderà in lotta compatto contro le condizioni di sfruttamento del lavoro, e successivamente il Massachussets, quando con il taylorismo diverrà il più grande centro di produzione tessile degli Stati Uniti.
L’esplosione della lotta porta alla ribalta il tema che percorre tutto il romanzo: la necessità dell’unità, nelle conquiste come nelle tragedie. Dalle 147 vittime, quasi tutte donne, morte nell’incendio della Triangle allo sciopero del Bread and Roses del 1912, dall’uccisione di lavoratori e sindacalisti secondo la visione “americana” dei diritti alla partenza dell’armata anarchica in appoggio alla rivoluzione zapatista, fino all’adesione alle Brigate internazionali nella guerra civile spagnola, a cui fanno eco i “dieci giorni che sconvolsero il mondo” nel 1917, e prima ancora i moti per l’indipendenza irlandese.
I protagonisti sono quelli che non si arrendono mai, perché attraversano tanto le une quanto le altre insieme. Una precondizione per resistere ma di più, per continuare a credere che sia possibile un altro modo di vivere, basato sulla reciprocità fra gli uomini piuttosto che sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questo il senso profondo del romanzo di Manganaro.
Ed è infatti quando si spezza quel legame che si innesca la tragedia, che l’autore affida, come nella più classica delle versioni, ai due fratelli figli di Chaya, da cui emerge la nemesi. Con un’inedita scelta di riscatto però che restituisce senso alle parole iniziali di Shlomo, riaccendendo ancora la fiamma della speranza.
rassegna sindacale, maggio 2012 n. 16
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