Lou Reed, un addio per ricordarci la nostra libertà

In morte di Lou Reed. Il mio ricordo attraverso il concerto del Palasport del ’75, e la lettera di Laurie Anderson

Lou Reed

Quando eravamo noi, la musica era gratis, doveva esserlo, ed è così che ce la riprendevamo. Una marea umana intorno ai cancelli del Palasport all’Eur, tutte le volte. E tutte le volte, al via, sfondavamo i cancelli, saltavamo sui corrimano e poi sulle tettoie inseguiti dai celerini finché non passavamo le vetrate d’entrata. Lì finiva la corsa, ce l’avevamo fatta. Così eravamo entrati a tutti i concerti di quegli anni, Bob Dylan e Joan Baez, Crosby, Stills Nash & Young e John Mayall, Genesis e Jethro Tull, Cream e Grateful Dead, concerti che costavano 1000, 2000 lire. Ma noi non ci stavamo: la musica doveva essere libera e noi la liberavamo. L’eco di Woodstock ce lo portavano tutti quelli che venivano da quella tre giorni che aveva dato il via a quel respiro immenso, a quella libertà, che per qualcuno si univa alla determinazione di una conquista politica. Ma per tanti la vera conquista politica era la libertà. Bastava questo come elemento di rottura, era racchiusa qui la vera sostanza della politica.

E la conferma arrivò, all’ultimo concerto di Lou Reed. Lou Reed, un simbolo di libertà straordinario per noi, per le atrocità che aveva sopportato, l’elettroshock subito in risposta alla sua libertà sessuale e la sua capacità di risposta in tutte le scelte di vita, nella liberazione della sua creatività con la sua musica e la sua voce piena di sensualità. Era il 1975, ed eravamo veramente tanti, determinati, felici, uniti. Ma quella volta la determinazione fu anche della celere, che non si limitò alla rincorsa dai cancelli alle porte d’entrata. Quella volta entrarono anche loro, e continuarono a inseguire, a pestare, a fermare, determinati tanto quanto era determinata la nostra volontà di resistenza. Il Palasport fu devastato, e non ci fu più posto per la musica. Fu una vera provocazione ai danni del movimento.

E fu l’ultima volta del Palasport. Per tanti anni non ci fu posto per i concerti, finché David Zard e altri organizzatori rientrarono alla grande, nella restaurata epoca del liberismo, con concerti da 50, 80, 150 euro che si pagano senza fiatare, escludendo quella marea umana di adolescenti, studenti, ragazzi, irreggimentando la musica dal vivo al servizio delle major. Ma tutto torna, perché la beffa del free download le ha fregate alla grande. Quello che manca però è ancora quel respiro, quel senso di libertà, quello che può restituirci la possibilità di ascoltare di nuovo la musica insieme, in un teatro, allo stadio, su un prato. Ma Lou Reed ci lascia oggi, sulla soglia di nuove aperture, dove in tanti di nuovo ci si ritrova mentre a momenti tutto sembra di nuovo precipitare. E’ qui che ci ha lasciato, sulla soglia, ricordandoci di non mollare mai. Combattenti sempre, con il cuore pieno di dolore misto a speranza, e nello sguardo nuovi orizzonti più liberi. Ciao Lou, grazie.

La lettera di Laurie Anderson in ricordo del suo amato marito e compagno

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Lou e io abbiamo passato molto tempo qua, negli ultimi anni, e anche se siamo gente di città questa è la nostra dimora spirituale.

La settimana scorsa ho promesso a Lou che l’avrei fatto uscire dall’ospedale e che l’avrei riportato a casa, qua a Springs. E ce l’abbiamo fatta!

Lou era un maestro di Tai Chi e ha passato i suoi ultimi giorni qua, felice e impressionato dalla bellezza, dal potere e dalla mitezza della natura. È morto domenica mattina guardando gli alberi, mentre faceva la celebre forma 21 del Tai Chi, immobile mentre le sue mani da musicista si muovevano nell’aria.

Lou era un principe e un combattente e so che le sue canzoni sul dolore e la bellezza del mondo riempiranno molte persone con l’incredibile gioia che lui provava nei confronti della vita. Lunga vita alla bellezza che scende, ci attraversa e si riversa su tutti noi.

— Laurie Anderson
sua amorevole moglie ed eterna amica